La Corte romana per lo inopinato ardore di Re Enrico andò in visibilio; di eretico dannato al fuoco eterno per poco non lo salutarono Giuda Maccabeo, e Gedeone. Il cardinale di Ossat gli scriveva: "non ho parole, che bastino per significarle quante lodi, benevolenze, e benedizioni la Maestà vostra siasi tirate addosso in grazia delle sue profferte." Don Cesare abbandonato dagli amici di fuori, dentro insidiato ebbe a cedere; Clemente acquista Ferrara, la quale da prima resse benigno, poi mano a mano acerbo, più acerbo, e finalmente acerbissimo; tanto, che per sospetto volesse il popolo ferrarese dare la balta il Papa ci fece costruire la fortezza, e i Ferraresi si condussero a lamentare il dominio estense; cosa d'altronde ordinaria nelle tirannidi, che la nuova desti il desiderio dell'antica non perchè paia quella più dura, ma veramente sia.
L'assoluzione di Enrico IV fu negozio, che dopo averlo succhiellato da una parte e dall'altra visto che tornava ad ambedue si sarebbe tosto conchiuso, ma il Papa andava giravoltando un po' per tema di Spagna, un po' per cavarne più, che potesse: così tentato prima Filippo, che ormai, come avvertii, aborriva da nuove guerre, ed impartita al negozio indole religiosa per modo che il piissimo Re spagnuolo l'avesse a trangugiare lodandolo aperto, ed in segreto maledicendolo poteva avventurare il passo, ma allora appunto cominciarono le ambagi di Roma; tuttavia quando tirate troppo le corde fu temuto, che le si rompessero il Papa calò, molto più che nel mezzo tempo Enrico faceva a vittoria succedere vittoria; in Francia per la solita voglia di saltare dallo scacco bianco al nero, o piuttosto per paura accadde un solenne voltolone.
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Lo assedio di Roma
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Zecchini Livorno 1864
pagine 838 |
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