Fino da questo tempo gli uomini di stato considerando come i monti caduti in mano di stranieri, i quali tiravano la rendita standosi fuori, e non contribuivano a spesa (I Genovesi ne cavavano 600,000 scudi ogni anno) prevedevano la miseria crescente nei popoli; ma chi reggeva, non dava retta, appunto come adesso costuma il governo d'Italia: ma ti dia la peste!, almanco allora erano preti schietti, e correva il secolo decimosesto, mentre oggi siamo al decimonono, e ci regge gente soda, ma soda davvero. In cotesti tempi uno arguto ingegno paragonò il governo papalino al barbero spossato, cui, per eccitarlo a correre, si raddoppiano le perette finchè non crepi; mirate un po' se questa similitudine potesse accomodarsi ai casi nostri. -
Ora i nostri liberaloni larghi di cintura dopo essere stati un pezzo col sasso in mano per lapidare i monaci, presi da terrore, lo buttano in terra; la corte romana due secoli addietro non faceva a spilluzzico; segno a strazi continui erano i frati a Roma; non concedevasi loro la mitra, molto meno il cappello per non inquinarli; nè manco un fallito, nota Antonio Grimani, nella sua relazione della corte di Roma, si gioverebbe a pigliare il cappuccio. I conventi parvero troppi, e vani; ne restrinsero il numero; Innocenzo X. ne soppresse buon dato perchè, egli disse, senza tante invenie, sono fatti spelonca di lussuria, e di delitti; anzi Alessandro VII. propose spontaneo ai Veneziani levassero di mezzo quanti più potessero monasteri, e del ricavato dalla vendita dei loro beni si servissero nelle guerre contro i Turchi: alla quale proposta i Veneziani contrapponendo certi loro dubbi, il Papa riscrisse: "non gingillassero, facessero come il buon contadino che pota i sarmenti per crescere vigore alla vite.
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Lo assedio di Roma
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Zecchini Livorno 1864
pagine 838 |
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