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      Il Papa si schermisce dietro la donazione di Carlomagno e strilla che non lo condurranno ad ammazzarsi da sè, Napoleone gli risponde, che appunto per virtù di cotesta donazione egli è principe, il Papa feudatario, e che con tutte quelle cose di meno potrà vivere ottimamente: provi, e vedrà, e per persuaderlo meglio gli leva ad un tratto Ancona, Macerata, Urbino, e Camerino, manda in Roma presidio francese, i cardinali disperde, i soldati pontifici mescola coi suoi: molto il danno, peggiore lo strazio, però che al cospetto dei Deputati delle Marche con queste acerbe parole Roma vituperasse: "ho considerato i vizi dell'amministrazione dei vostri preti: gli ecclesiastici regolino il culto e l'anima, insegnino teologia, e basta, Italia scadde, dacchè i preti pretesero governarla." Ancora scrivendo al principe Eugenio afferma: "i preti inetti a governare." Miollis in certo suo bando assicura ì Romani, che da ora in poi non torneranno più sotto gli ordini dei preti, e delle donne. L'appetito viene mangiando, dice il proverbio napoletano, e oramai che Napoleone ci era fece del resto; il 1. Gennaio 1810 (aveva vinto a Venezia) considera che il suo antenato Carlomagno donò al vescovo di Roma certi paesi pel bene dei suoi sudditi, senza che Roma cessasse per questo di formare parte dello impero; e come dalla unione dei due poteri derivassero e derivino disordini continui, e via via; onde per accordare la sicurezza delle sue armi, la quiete dei popoli, il decoro, e la integrità dello impero, sentite mo', che cosa fa: dichiara Roma città LIBERA, ed ordina ne piglino possesso in nome suo.


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Lo assedio di Roma
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Zecchini Livorno
1864 pagine 838

   





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