Anima e mente di popolo; non so perchè, e per quale vincolo d'idee quando lo miro, ricordo il dipinto dell'Albano che rappresenta Amore, che tocca la lira a cavallo di un lione; lo imperversare della natura non lo spaventa più delle procelle degli uomini, egli ci sta in mezzo, come se queste e quello fossero attaccati al carro della sua fortuna. Dovunque si rammenta la Libertà il nome di Garibaldi le tiene dietro quasi eco di quella. La vittoria è l'ombra del suo corpo; dove comparisce cessano fame, stanchezza, e perfino il dolore delle ferite; a tutte queste miserie subentra per dominare onnipotente su le anime il divino entusiasmo di morire per la Patria, e per la Libertà: tutto splende alla luce dello eroe, tanto vero questo che parecchi uomini i quali apparvero fiamma accanto a lui, da lui discosti diventarono carboni sordidi, buoni soltanto a segnare su i muri una turpe figura o una parola sconcia. La Provvidenza nel crearlo volle segnare sopra la sua fronte destino, ma distratta a mezzo non compì la leggenda: se così non era qual mortale adesso più di lui somiglierebbe Dio? Affrancava popoli, e li donava al regno, e il donator di regni oggi gli manca il pane. È giustizia questa? È castigo? Non so, io piego il capo davanti ai decreti del supremo sapiente. Certo il plebiscito a cui lo vestì pesa peggio della camicia di Nesso, ma che importa? Ormai il primo impeto fu attutito; la fiamma accesa tornò brace, anzi cenere; gli eroi diventarono bottegai; gran mercato delle anime fu aperto; chiunque volle vendersi trovò il suo prezzo, e la mercè offerta pur troppo superò la richiesta.
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Lo assedio di Roma
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Zecchini Livorno 1864
pagine 838 |
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