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      Questo narra il Dandolo che ci si trovò presente, ma egli non lo piglia in mala parte, perchè di stirpe aristocratica; però le regie offese ha per carezze, mentre in odio degli ordini popolari, quanto sa di popolo lacera senza pietà. Strenui giovani furono per certo i nobili lombardi, ma schifiltosi, e saccenti: combatterono i nemici valorosamente sempre, le proprie passioni non combatterono mai. A Bobbio sbandaronsi, che madre di discordia è la sventura: nel tumulto rimase ucciso un'ufficiale; i cavalli venderonsi quasimente per nulla. Anco dal Dandolo si ricava, che i pochi rimasti insieme passando per Chiavari vennero con inestimabile esultanza festeggiati, perchè creduti ausiliatori di Genova; quando poi i Chiavaresi seppero, che non andavano per quello cagliarono; dond'ei cava argomento per deplorare la insania degl'Italiani! Certo per cui sa, che in quel punto il Lamarmora bombardava Genova adoperando contro una città italiana, quelle armi, che su i campi di Novara rimasero inerti è mestieri che dica le opere di questo Conte valere troppo più delle parole. Avviaronsi verso la Toscana in cerca di miglior fortuna, ma ci giunse il loro messaggio nel punto in cui cadeva il governo popolesco per le mene di nobilissimi ribaldi; il Conte chiama cotesto governo spregevole, e tuttavia ei ne sperava sollievo ed altri soldati italiani ributtati dalla monarchia sabauda ebbero da cotesto governo vesti, armi, e danaro, e quello che più importa fratellevole accoglienza; ma poco sono da curarsi le parole del Conte contro il governo toscano, se la dicacità sua egli spinge fino agli ultimi oltraggi contro i propri commilitoni, e valga il vero; egli afferma com'essi accettassero recarsi a Roma per paura che stretti fra l'appennino e il mare di un tratto il pregiabile governo di Piemonte non li consegnasse all'Austria, e poichè costà non poterono rimanere si avviarono a Roma senza amore, all'opposto odiando il governo del Mazzini e quasi per dimostrazione dell'animo loro portano sopra le cinture la croce sabauda; accettano il soldo della repubblica solo per vivere reputandosi liberissimi, appena giunti, di piantarla; così forse non pensava la moltitudine dei soldati che il Manara conduceva: non convincimento, non passione essi sentivano disposti a servire per bisogno la repubblica, o la restaurazione regia, se privi di bisogno non avrebbero servito l'una nè l'altra: insomma, a sentire questo Conte, i 600 lombardi, che furono miracolo di valore e di costanza, volgono a Roma per non farsi, spinti dalla fame, ladroni.


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Lo assedio di Roma
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Zecchini Livorno
1864 pagine 838

   





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