I gridi andarono al cielo; egli fece della mano silenzio, ed arringò i soldati; che diss'egli? Veruno ardisca riportare le parole del Garibaldi, imperciocchè la virtù delle sue arringhe consista meno nelle parole che nello sguardo, nel suono, insomma in un torrente di fluido elettrico, che si prova, ma non si descrive.
Ora dunque come mai dei giovani scolari nei quali abbonda ordinariamente il cuore ne rimasero soli nove? Forse un demonio di quelli, che governano la Caina passando su l'anima loro vi soffiò un'alito gelato e gli avvilì? Ecco la cagione del fiero caso, che forse lo scusa in parte ma non lo assolve: nella giornata del 30 aprile fu preposto a questi cervelli giovanili mobilissimi per natura un côrso, di cui non si ricorda, e non importa ricordare il nome(162); però giova avvertire che indi a breve se ne andò in Francia al soldo dello Imperatore, e con esso lui forse tuttora rimane; nel 30 Aprile pertanto ben'egli a squarcia gola gridava ai giovanetti: avanti! avanti! ma ei se ne stava addopato ad una pianta schermito dalle palle con un fiasco di vino al fianco dove di tratto in tratto attingeva voce, e sembianza di valore: però sospettando i giovani di mal capitare sotto la trista guida spulezzarono. Di qui l'uomo, si accorga come la poca fiducia nei condottieri soldateschi o politici di un tratto smorzi ogni entusiasmo, e muti condizioni di animosi in codardi.
Procedeva il Garibaldi co' suoi tacito in mezzo alle tenebre e descrivendo un grande arco attinse la via prenestina, che mena a Palestrina, la quale risponde alla Porta maggiore di Roma mentr'egli era uscito dalla Porta del Popolo; di tratto in tratto spediva il Garibaldi stracorridori a speculare il sentiero frugandolo argutamente nelle più recondite latebre; pareva, che navigasse per iscogli dolosi, e veramente ei camminava in mezzo ai pericoli: sovente egli medesimo in compagnia del suo moro si allontanava per tentare i meandri del terreno, e come improvviso si partiva così del pari improvviso ritornava; e questa, che pareva faccenda strana perchè inusitata fra noi, era cautela appresa dai selvaggi i quali come pongono ogni loro gloria a sorprendere il nemico con gli agguati, così adoperano ogni sottile accorgimento per ischivarli; senza intoppo procederono fino al mattino, allora appartatisi alquanto dalla via prenestina s'indirizzarono verso Tivoli.
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Lo assedio di Roma
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Zecchini Livorno 1864
pagine 838 |
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