Da siffatto screzio nacque, che invece di spingersi gagliardi contro Velletri si gingillarono in avvisaglie alla spicciolata fino a notte; fu spedita sopra la strada di Terracina una scarsa banda di gente buona a raccattare prigioni, non atta a combattere nemici: le tenebre posero termine al combattimento, e diedero principio al votare della città: bene si accorse della ragia il Marchetti, che non essendo rinforzato mandò messi su messi affinchè lo ingrossassero; aspettato lunga pezza invano, da una parte egli si vedeva tolto fare cosa che approfittasse, e dall'altra non gli pativa l'animo di tornarsene senza costrutto: tenendosi sempre prossimo alla selva per rintanarsi al bisogno si gittò su la strada dove mise le mani addosso sopra nove mule cariche di gallette, e per poco non fece preda troppo più importante, il fratello del re che in quel punto giungeva: fu salvo in grazia della stupenda velocità dei suoi cavalli.
Verso le due ore del mattino il tenente colonnello Leali ebbe ordine di occupare col battaglione del 5.º reggimento l'altura dei Cappuccini, che trovò deserta. Emilio Dandolo con soli 40 uomini stracorso ad esplorare la città s'imbatte in due contadini, i quali lo accertano della partenza dei Napoletani; fattosi oltre scavalca le barricate, ed entra nella città abbandonata del pari; solo il nemico ci aveva lasciato i feriti e i prigionieri.
Con questi esempi lo esercito napoletano non si educava a gesti eroici; e più tardi a piccolo urto noi lo vedemmo cedere; però prima di cotesta infamia fu chiaro in armi, e lo ridiverrà in breve, chè la colpa non ispetta a lui, bensì al codardo guidatore ed educatore.
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Lo assedio di Roma
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Zecchini Livorno 1864
pagine 838 |
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