E moveva da pietà d'impedire, che le amate reliquie andassero in cenere: in un'attimo ecco immemori, o non curanti del fuoco gittarsi in mezzo i giovani soldati per sottrarli a cotesta maniera di distruzione, quasichè importasse, che o in cotesto, o in altro modo rientrassero in grembo alla terra; tuttavia se pensi come i superstiti intendessero seppellire con le proprie mani i loro morti per religione alla memoria dei caduti per la libertà troverai che passione vince ragione così in questa come in molte altre cose.
Nè qui finiva; il Mangiagalli quando ormai la notte, la fatica, e i mutui lutti persuadevano quiete, ecco raccolto un manipolo di compagni avventarsi da capo, e forse riusciva a fugare i Francesi se non gli si fosse sgominato per via, lì sembra fosse ferito il Rozat; la ritirata fu due cotanti più luttuosa dello assalto; quel cadere senza pure esser visti, i gemiti confidati al buio della notte, l'atroce pensiero di sè, che nella sventura disperata ripiglia il sopravvento ricordavano gli affanni dell'Erebo immaginati dai Poeti. Il Garibaldi poi compariva da per tutto, vestito di bianco, sempre immobile sia che col destriere sostasse, sia ora qua ora là su le groppe di quello scorresse; più che conforto adesso metteva spavento: sembrava il simulacro del Destino venuto a contemplare il compimento dei suoi decreti.
Il Sacchi aveva difeso il Vascello; dopo lui venne il Manara, che lo presidiò co' suoi e in fretta in furia lo convertì in ridotto formidabile; i Francesi trasportati dal furore della vittoria irruppero per espugnarlo, ma non la poterono spuntare; allora il Manara lo consegnò al Medici, il quale per la virtù sua, e dei suoi lo rese monumento inclito del valore Italiano.
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Lo assedio di Roma
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Zecchini Livorno 1864
pagine 838 |
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