- Io trovo scritto come in questa fazione morisse un'altro giovanetto di anni diciassette di gentile sembianza, e fiorentino; ferito nella gamba destra, all'ufficiale francese, che gl'intimò la resa ruppe la testa gridando: "va via soldato del Papa," trafitto da cinque palle cadde sul nemico spento; si chiamava Gherardi: perchè queste anime nella mia terra non sono seme, che frutti? Quando ci si novereranno copiose come ora ci appaiono rare Firenze meritamente vanterà per impresa il suo leone; fino a quel dì le conviene molto meglio l'agnello di Calimara. -
Si stringe intorno a Roma la fiera cintura di ferro e di fuoco, e il nemico moltiplica le artiglierie a porta San Pancrazio, donde si aspetta resistenza maggiore; apronsi finalmente dai Francesi le batterie di Breccia, le rintuzzano i nostri cannoni dai monti Testaceo ed Aventino; rabberciate le Trincee i nemici ripigliano il trarre, il Bastione VI non senza danni pure fa buona prova; tracolla tutto il muro di cortina al bastione VII, ma la terra non gli smotta dietro, anzi rimasta diritta a picco difende, nè per lanciarvi contro granate punto si smuove. I Francesi accatastando Breccia su Breccia ne costruiscono tre per tempestare il Vascello, la Villa Savorelli, e le case di fianco alla porta San Pancrazio: qui cadde il tenente Cesare Covelli cui il colpo stritolò il braccio; tribolava due giorni, e poi chiuse gli occhi alla vita, non infelice affatto perchè morì nella speranza, che Roma la potesse sgarare contro i Francesi; altri sei artiglieri morirono a un tratto per colpa di una palla, che imboccò dentro la cannoniera; anco il buon Ludovico Calandrelli percosso nel petto da un frammento di ruota ebbe a cessare le difese; chi lo vide mi dice, che portò lungamente la parte lesa nera più che carbone.
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Lo assedio di Roma
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Zecchini Livorno 1864
pagine 838 |
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