e da tanto che ell'erano lievi due mesi penò a guarire nè si riebbe mai: visse esule un tempo rigido, e intemerato; rinnovatasi la guerra combattè a Varese, e a S. Fermo; nello esercito italiano ebbe grado di maggiore: io lo conobbi deputato al Parlamento italiano; pallido di faccia, di sembianze severe, e pure belle; non rideva mai; parlava raro, e risoluto, anzi tagliente: mi pareva consacrato a morte precoce, e non ha guari noi lo perdemmo, e con noi l'Italia si lamenta vedovata di uno dei suoi più nobili figliuoli.
Ora vuolsi da noi rammentare un caso, che bene potevamo a prezzo di sangue desiderare non fosse accaduto, ma che la religione della storia c'impedisce tacere. Il Generale Garibaldi ai Generali Rosselli, ed Avezzana, i quali alla nuova di tanto disastro accorsi sui luoghi gli offersero un reggimento intero di rinforzo, promise all'alba si sarebbe messo allo sbaraglio per rincacciare i Francesi dalle breccie; e non lo fece, invano la campana del Campidoglio sonava a stormo, e il popolo traeva a frotte inferocito, ei non si mosse; promise da capo assalirebbe nel pomeriggio alle cinque, e nè manco attenne il patto. Di questo si dolse amaramente il Mazzini scrivendo al Manara, e diceva: "avere l'anima ricolma di amarezza... tanto valore, tanto eroismo perduti!" Reputava, se gli assalti fossero stati impresi, sarebbero riusciti a buon fine, e faceva "giuramento, che il Manara intorno al Rosselli calunniato da molte parti, e i buoni dello stato maggiore pensavano com'egli stesso pensava" per ultimo conchiudeva: "a me rimarrà la sterile soddisfazione di non apporre il mio nome a capitolazioni, che io prevedo infallibili.
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Lo assedio di Roma
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Zecchini Livorno 1864
pagine 838 |
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