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      Ma che importa di me? Importa di Roma, e d'Italia." Luigi Carlo Farini nella storia dello stato Romano ci narra come le insolite cuntazioni del Garibaldi, derivassero dal continuo aizzarlo, che faceva lo Sterbini, perchè costringesse il Governo a commettergli la dittatura, proponendosi poi lasciarne al Garibaldi il nome, e per sè pigliarne il potere ed aggiunge altresì, che lo Sterbini andava menandone rumore per Roma, e già la plebe si commoveva, quando un giovane gli occorse minaccioso increpandolo: "portasse le accuse in tribunale, non in piazza, smettesse gli scandali in coteste ore supreme," e dacchè quegli non cessava, minacciandolo con l'arme lo pose in fuga. Nelle memorie del Garibaldi non trovo nè manco una parola sopra siffatto caso; e le note del Mazzini ne tacciono parimenti: tuttavia il fatto è vero, e l'uomo che minacciò lo Sterbini non era giovane, nè di buona fama: si chiamava Bezzi. Carlo Pisacane scrivendo delle Guerre d'Italia giudica, che le breccie arieno potuto ripigliarsi la notte, là dove le artiglierie romane invece di cominciare il fuoco alle 2 del mattino, avessero fulminato i Francesi subitochè vi furono saliti; tre ore bastarono al nemico per alzare ripari capaci a difenderlo; ed altresì censura il Garibaldi per l'assalto senza costrutto ordinato al Sacchi, e generalmente il modo da lui tenuto di avventurare sortite con sottili manipoli, confortando il suo giudizio col parere del Folard commentatore reputatissimo di Polibio, il quale ammaestra: "le sortite ove non mirino a grave intento, a nulla giovano, eccettochè a fare ammazzare gente senza pro.


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Lo assedio di Roma
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Zecchini Livorno
1864 pagine 838

   





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