Di questo, poco, o nulla, si curavano i popoli; ma quando, rapito alla considerazione delle cose future, profetava Arnaldo risorgerebbe dalle rovine il Campidoglio; risorgerebbero il senno e il valore romano l'augusto Senato, terrore o riverenza delle nazioni, risorgerebbe. – si sollevavano a maraviglioso concitamento e già sembrava loro vedere innalzarsi pel cielo l'aquila temuta al vittorioso suo volo: di Papa, di Cardinali, di Chiesa, non si teneva più conto; Consoli, Tribuni, e Senato, occupavano le menti di tutti. A queste cose, di per sè sole sufficienti a condannare Arnaldo, si aggiunsero alcune massime, meno che rette, sul mistero della Trinità, forse attinte dal suo maestro Abelardo, che fu nel 1110 condannato nel Concilio di Soissons ad abbruciare di propria mano il libro da lui composto intorno questa divina materia. Il Concilio lateranense secondo, tenuto sotto Innocenzio II, lo dichiarava eretico, e come scomunicato lo condannava. Arnaldo ripara a Gostanza; perseguitato da San Bernardo fugge a Zurigo, dov'ebbe per alcun tempo stanza e vita sicure. – Ma per lo esilio di Arnaldo non cessavano le turbolenze romane. Innocenzio II, dopo essersi invano adoperato a quietarle, ne moriva di affanno. Lucio II, vestito degli abiti pontificali, mentre vuole salire al Campidoglio, côlto alla tempia da un sasso cade miseramente ammazzato. Eugenio III è costretto a fuggire, e lascia alla Provvidenza prendersi cura della Chiesa, poichè vede tornare invano ogni mezzo terreno. Nel Pontificato di Eugenio fu richiamato Arnaldo a Roma, dove stette fino al 1133 sempre vegliando alla grandezza di un popolo, che parve destinato dai cieli a non essere più grande.
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