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      È fama, che Federigo, nello eseguire queste cerimonie, sbagliasse staffa; la qual cosa essendogli fatta osservare da certo famigliare del Papa, rispondesse: ch'egli non aveva mai fatto lo staffiere, volendo con questo mordere la bassa nascita di Papa Adriano; come se non fosse maggior gloria di piccolo farsi potente; che nato grande mantenersi in grandezza.
      Mentre così si avvicinavano a Roma, ecco occorrere a Federigo una magnifica ambasciata del Senato e del popolo romano, che ammessa alla sua presenza così cominciava: "Gran Re, noi, di straniero che eravate, vi abbiamo sollevato all'onore di essere cittadino, e Principe nostro;" e così continuavano, fino ad esporre per patti della sua incoronazione il pagamento di cinquemila libbre di oro, e la concessione al Senato di reggersi come meglio gli piacesse. Federigo, a mala pena contenendosi, tutto infiammato nel volto rispondeva: "Roma o omai gran tempo che è convertita in nudo nome; voi mentite, se osate affermare me essere vostro Principe per elezione della vostra volontà: Carlomagno e Ottone vi hanno vinto con le armi, ed io sono vostro Sovrano per legittima possessione.... partite."
      Giunto innanzi Roma si attendò fuori delle mura: dipoi, per consiglio del Pontefice, mandati innanzi mille cavalieri ad occupare la città leonina, e il ponte sotto il castello di Sant'Angiolo, andò a San Pietro, dove dalle mani del Papa ricevè scettro, spada, e corona, applaudente lo esercito. Compiuta la cerimonia, tornava al campo. I Romani ragunatisi al Campidoglio risolvono non soffrire tanto manifesto disprezzo; assaltano la città leonina, e quanti Tedeschi vi trovano uccidono.


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La battaglia di Benevento
Storia del secolo XIII
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1852 pagine 699

   





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