Intanto per altra parte la seconda ala milanese, vinti i nemici, tornavasi al campo. Udita la nuova del Carroccio, tutta baldanzosa per la fresca vittoria, si precipita sul vincente Federigo; questi lunga pezza tien fermo; alfine, sopraffatto da irresistibile impeto, si volge in vergognosa fuga, lasciando arme e prigioni.
Se un pari numero di soldati avesse per ambedue le parti combattuto anche in séguito, e solo fosse stata contesa di valore, la prodezza italiana avrebbe certamente prevalso; ma nel successivo anno, centomila Tedeschi scesi dall'Alpi in soccorso dello Imperatore, lo riposero in grado di scorrere il Milanese. Orribile fu il guasto che cagionava; a quanti poteva far prigionieri le mani recideva; finalmente dopo infinite crudeltà tornava ad assediare Milano. Di lì a poco le provvisioni, sia che non se ne potessero, o non se ne volessero raccogliere, mancarono in questa città. Chiesero i Milanesi di venire ai patti; rispondeva Federigo, non volerli ricevere che a discrezione. I nobili si disponevano piuttosto a morire; la plebe si ammotinò, e li costrinse a cedere. Qui comincia la pietosa rovina di Milano, di cui la descrizione volentieri esporremmo, se molte gravissime cose non ci rimanessero a raccontare. Fu il diroccamento di Milano operato da mani italiane; nè più crudelmente avrebbero fatto gli stessi nemici. Questa era la carità della patria nei nostri padri! Nè ciò dico per dimostrare che noi siamo migliori: ma essi non furono meno scellerati di noi: – iniqui tutti!
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