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      I Veneziani, separatisi dalla Lega Lombarda, si uniscono a Cristiano, e l'assaltano dal lato del mare. Gli Anconitani adesso si chiariscono veri eredi delle glorie passate, e degni figli di sangue latino: assaliti, tennero fermo; assalitori, respinsero. In una sortita ruppero il nemico con sì fatto impeto, che, fuggendo alla dirotta, lasciò in potere loro una torre: era questa macchina, quantunque di legno, fortissima, e tutta piena di armati, che facevano sembianza di volerla difendere fino all'ultimo sangue. Ognuno dubitava; quel pericolo certo atterriva tutti; la più parte diceva lasciarla stare. Stumara, valorosa gentildonna, vergognando della viltà loro, senza mettere tempo tramezzo, preso un tizzone, si scaglia a tutta corsa verso la torre: vi giunge, vi appicca il fuoco, nè prima si diparte, che, suscitato un altissimo incendio, conosce, di lì a poco sarà ridotta in cenere. Tanto valore fu per essere indarno, a cagione del difetto di vettovaglie: mancate le cose convenienti a cibarsi, mangiarono cuoio, schifosi animali, e sozzure: finalmente finirono anche queste. I buoni, che sono sempre i pochi, dimessa la faccia aspettano l'ultimo momento; i tristi, tenaci della vita quanto più meritano la morte, si sollevano, schiamazzano, e testa a cui si oppone: di súbito sorge un vecchio cieco, che, ringraziando il cielo per averlo privato della luce, onde non vedere questo giorno di avvilimento, e d'infamia, rimprovera chi parla di resa, li dispera del perdono nemico, dimostra loro potersi salvare la città; resistessero: a questo non avergli riserbati il Signore, conforto dei miseri, riparatore della sciagura; in lui confidassero, in lui che infrange i denti al lione31, e toglie il veleno al serpente.


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La battaglia di Benevento
Storia del secolo XIII
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1852 pagine 699

   





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