Federigo, respinto da quella dura carica, torna all'assalto; nuovamente ributtato, si volge ai suoi per inanimirli: ma questi scorati, esitano, e si perdono; la furia dei rovinanti nemici gli sfonda; Federigo stesso rovesciato da cavallo viene con pericolo di vita travolto nella fuga. La battaglia č convertita in miserabile strage di gente sbandata. Molti furono i morti sul campo, moltissimi i sommersi nel Ticino. Ai Comaschi, siccome traditori, non si dettero i quartieri, e mala pena ai Tedeschi. Venne in potere dei Lombardi il tesoro imperiale, lo scudo, il vessillo, la croce e la lancia di Federigo medesimo; per pių giorni non si ebbe nuova di lui. La Imperatrice rimasta a Como lo pianse per morto, e si vestė a lutto.
Federigo non pertanto viveva: fatto prigioniero dai Bresciani, si traveste da mendico, e ricompare a Pavia con l'onta di una disfatta sul volto. Fremeva il superbo nel doversi dir vinto: ma i casi pių potenti di lui lo costringevano a mandare a Roma ambasciatori per la pace, tanto adesso da lui lealmente domandata, quanto poc'anzi perfidamente conclusa con Ezzelino padre del feroce Ezzelino da Romano, ed Anselmo padre di Buoso da Doara, a nome della Lega Lombarda. Convennero di un Congresso in Bologna; poi mutarono in Venezia, a patto che non c'intervenisse lo Imperatore se non a pace fermata. I Ministri non si accordavano; invece di pace proponevano tregua di quindici anni pel Papa e pel Re di Sicilia, di sei per la Lega Lombarda. Federigo domanda avvicinarsi al luogo del Congresso, e al punto stesso, senza nessuna risposta aspettare, lasciata Pomposa, villa nel contado di Ravenna, giunge a Chiozza.
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