Giunge le novella a Federigo, che furiosamente levatosi in pič grida:
Chi č questo Papa che mi ha ributtato dal suo Sinodo? Chi č colui, che vuole toccar la mia corona su la mia testa? Chi č colui che lo puō? Dove sono i miei gioielli? Presto, recatemi i miei gioielli." Glieli recavano: aperta una cassetta, dove teneva diverse corone, ne tolse una, e se la pose in capo dicendo: "Oh! ella non č per anche perduta; nč Papa, nč Sinodo, me l'hanno tolta, nč me la torranno senza che sangue ne costi."
Dopo questa sentenza Federigo non ebbe pių un'ora di bene. Innocenzio spedė lettere circolari per ribellargli la Sicilia; tentō farlo morire per opera di congiura ordita dai figli del Gran Giustiziere Mora, dai San Severino, e dai Fasanella: andato a vuoto il tentativo, non cessō dalle insidie, anzi viepių accendendosi in quelle istigō Piero delle Vigne, rimasto trascurato in corte dopo il Concilio, a ministrargli il veleno. Giaceva Federigo leggermente ammalato, allorchč Piero si dispose all'opera di perfidia: fattosi alla camera dove era l'Imperatore, lo confortō a bere certo liquore composto da un suo medico, e gli affermava che ne sarebbe tosto guarito. Federigo di tutto giā consapevole assentiva; giunto che vide il medico, si volse a Piero e gli disse: "Piero, č questa la bevanda che l'amico porge allo amico ammalato?" Poi con aspetto feroce ordinava al medico gli desse la tazza; questi pauroso della vita finge sdrucciolare, cade, e la rovescia per terra: poco gli giovava il consiglio; lo sparso liquore fu verificato per veleno, ond'egli n'ebbe la testa mozza.
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