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      L'Imperatore, quasi per anticipare quello che aveva in mente eseguire, ordinò si fabbricasse una città, alla quale pose nome Vittoria, per trasportarvi, quando che fosse, la gente di Parma espugnata, ed intanto disegnava di prendervi i quartieri da inverno. Correva il giorno diciottesimo di febbraio 1248, allorchè i Parmigiani, avendo saputo che Federigo si era allontanato con assai gente per cacciare col falcone, si disposero tentare disperata sortita. Non fu per questa volta la fortuna contraria ai generosi. Gl'Imperiali, assaltati allo improvviso, dopo leggera resistenza si danno alla fuga; ne segue strage infinita. Taddeo da Suessa, e il Marchese Lancia, caddero morti sul campo, tentando ritenere i fuggitivi: inestimabile tesoro venne in potere dei vinciiori, e la stessa corona imperiale. Federigo ritornava adesso tutto umile ad implorare la pace con Innocenzio, offrendo passare in Terra Santa; non si ascoltava. Allora vide quello che doveva considerare innanzi, cioè, che fino a tanto che ei fosse stato perdente, il Papa non si sarebbe piegato a meno severi consigli. Si volse dunque in Toscana, ed inasprito pei recenti disastri, ne uscì tutto sanguinoso di nefandi omicidii. Superato il castello di Capraia, dov'erano riparati gran parte di Guelfi, tutti fece annegare: al solo Zingane Buondelmonti per odioso privilegio (e stimò fargli favore) ordinò che si strappassero gli occhi, e si gittasse nelle prigioni di Puglia. Ma quasi che di ogni misfatto dovesse immediatamente pagare la pena, poco tempo dopo, il suo figlio Enzo combattendo a Fossalta contro i Bolognesi fu vinto e fatto prigioniero; nè mai in séguito per prego, o per minaccia, dal Comune di Bologna lasciato partire, e realmente trattato, visse ventidue anni in quella città. Federigo, tentato nuovo motivo per la pace, e nuovamente respinto, se ne andò in Puglia a macchinare nuove imprese, ed a prepararvisi, allorchè la morte lo giunse a Ferentino il 13 decembre 1230. Innocenzio così annunziava al mondo la sua morte: "Si rallegrino i cieli, esulti la terra, che il fulmine, di cui Dio da gran tempo ci minacciava, si è convertito con la morte di un uomo in freschi zeffiri, ed in limpide rugiade.


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La battaglia di Benevento
Storia del secolo XIII
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1852 pagine 699

   





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