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      Innocenzio non aveva altro sentiero a seguire. Quel potente amico vicino che volendo ti distrugge, riesce più pericoloso del nemico che puoi combattere con incerta fortuna. Innocenzio come uomo avveduto, e delle cose del mondo intendentissimo, accese le cupidigie dei Baroni napoletani. Ognuno di questi, sperando farsi signore assoluto, con l'antica lusinga della libertà andava sollevando i popoli, e diceva doversi trucidare il tiranno, e purgare il Regno dai Barbari. Manfredi dal canto suo sollecitava i popoli a rimanersi fedeli, gli onori e le gioie della lealtà esponeva, i suoi nemici ribelli appellava. Sono i nomi di ribelle e di tiranno nelle rivolte di per sè stessi senza significato, e senza rappresentanza morale nella mente dei popoli, ed aspettano la loro spiegazione dall'esito delle battaglie. Allora vedendo gl'imprigionamenti, gli esilii, le teste tagliate e confitte su pei pali, per quell'antica fratellanza, che corre nei loro cervelli tra pena e delitto, senza cercare più oltre danno il torto a chi è vinto. Il nome di riprovazione rimane a colui che ha dovuto cedere, l'altro ha purificato la sua infamia nella vittoria.... poi la vittoria muta, chè il chiodo alla ruota della Fortuna nessuno pose fin qui, nè mai porrà, e con la vittoria mutano i giudizii degli uomini. Vinse Manfredi, e fu giusto; i Baroni vinti, e però scellerati. Alla morte dello Imperatore il Regno da un lato all'altro si ribellò, e Manfredi in meno di un anno lo ricompose in pace, ed eccettuate le città di Napoli e di Capua, tutte le sottomise.


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La battaglia di Benevento
Storia del secolo XIII
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1852 pagine 699

   





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