Manfredi, quantunque conoscesse la morte imminente, spinse il destriero per soccorrere i suoi, ma Corrado Capece lo rattenne, e gli disse: "Voi perdete, Principe, e quelli non salvate; essi furono valorosi, ma imprudenti.... spargiamo una lagrima sul destino loro, e partiamo." Toccarono allora di sproni, e quanto più poterono veloci si allontanarono. Traversarono nei giorni seguenti per Bisacca, per Bimio e per Guardia dei Lombardi, e tenendo il sentiero più alpestro giunsero sul fare della notte a vista di Atropalda, castello dei Capece.
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Baiardo!
gridò Marino: che precorse Manfredi sotto il castello. Fu sentito un cigolío di chiavacci, un aprire d'imposte, un montare di balestra, e una voce tuonante, che domandò: "Chi viva?" – "Viva Svevia, e San Gennaro: cala il ponte, Baiardo; son Marino."
Fu calato il ponte; e quando Manfredi ebbe posto il piè su la soglia, i due fratelli Capece scesero da cavallo, gli si prostrarono alle staffe, e dissero: "Messere il Principe, siete in casa vostra." – "Se la fortuna non mi corre sempre nemica, spero potervi dire le stesse parole a Napoli nel castello capuano."
Le mogli dei Capece con donnesca leggiadria fecero al profugo Manfredi tutte quelle accoglienze che seppero maggiori; egli volle che sedessero alla sua mensa insieme ai loro mariti, e qui dimenticando le passate e le presenti sventure si mostrò tanto gaio e scherzoso, che quelle gentildonne, vedendolo in séguito spessissimo volte a corte, affermarono, ch'ei non fu mai tanto giulio, quanto in quella notte di pericolo.
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