Alla mattina, Manfredi, salutate le dame, ed ingrossata la scorta di alcuni cavalieri della gente dei Capece, si dipartiva. Giunse a Melfi, che gli chiuse le porte; Ascoli segú l'esempio, ed uccise per giunta il Governatore, che gli si manifestava devoto. Un uomo meno magnanimo si sarebbe dato per vinto; Manfredi, più che mai fermo contro la fortuna, si volse a Venosa, che rispettosamente lo raccolse.
Era Lucera dei Saracini in podestà del Marchese di Hochenberg, il quale vi aveva lasciato a governarla Marchiso con ordine di tenerne sempre chiuse le porte. Marchisio eseguiva i comandi del suo signore, ma non gli valse il consiglio.
Manfredi, lasciata a Venosa la scorta, tolse seco i due fedeli Capece e il maestro di caccia di Federigo, e si dispose a partire per Lucera; scanṣ Ascoli e Foggia. La notte lo sopraggiunse su l'entrare di quella sterminata pianura, che anche oggigiorno chiamano Tavoliere della Puglia; il cielo minacciava burrasca, ma il Principe di Taranto non era uomo da arrestarsi per la paura di un cielo turbato: – si avanzavano; le tenebre aumentano, il vento cresce impetuoso; – di tanto in tanto grosse goccie di pioggia gli bagnano il volto. Allo improvviso cesṣ il vento; tutto fu un profondo silenzio: per quella solitudine nessuna altra cosa si ascoltava, meno l'alternare dei passi dei cavalli. – Venne un lampo, poi un tuono, e dietro uno scroscio terribile di grandine: il vento che aveva cessato, quasi mostrando di non volere essere il primo ad attaccare la battaglia con gli altri elementi, torṇ ad imperversare pel cielo.
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