Rimaneva in casa la quarta, ed il romeo disse a Raimondo: "Questa daremo ad uomo valoroso che vi sia in luogo di figliuolo, e vi succeda nella signoria:" ed assentendo il Conte, egli la sposava a Carlo d'Angiò, fratello del Re Luigi di Francia, affermando che sarebbe divenuto il maggiore e il migliore signore del mondo.
Dopo tanti anni di lealtà e di servitù, la maledetta invidia, peste del mondo, e delle corti vizio, cominciò a susurrare alle orecchie di Raimondo, averlo tradito il romeo, e di ogni suo tesoro spogliato. Non dava egli fede da prima a quelle malignità, ma ripetutegli oggi, dimani, e sempre, gli venne in pensiero di domandare conto al romeo di ogni sua operazione: questi, come colui che stavasene provveduto, mostrò la scrittura, dette ragione di tutto, e chiese commiato. Il Conte, parendogli avere mal fatto, con umili scuse si difendeva, e a grande istanza lo pregava a non volerlo abbandonare ora che tanta parte di vita avevano insieme trascorso; ma il pellegrino troncò quelle parole, dicendo: "No, Monsignore Raimondo; dividiamoci adesso che siamo amici; sarà la nostra separazione pur troppo amara, ma ognuno di noi lascerà all'altro tal rimembranza, che volentieri si compiacerà richiamare alla mente: forse aspettando non lo potremmo più. Voi siete vecchio, e con la vecchiezza vengono le infermità del corpo, ed il sospetto dello spirito: – forse è questo un vizio degli anni, forse il frutto della esperienza che ha veduto gli uomini più pronti a ingannare, che ad essere leali; in ogni modo il sospetto è il compagno della vecchiezza, e piacesse al cielo che fosse il solo.
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