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      Sì fatto miscuglio di vecchie abitudini e di nuove sensazioni non può agevolmente descriversi: egli non era un desiderio di fuga, e pure un principio di paura, che gli abbrividiva le carni; non un desiderio di precipitare la contesa, e nondimeno Carlo, ogniqualvolta sentiva dirsi come fosse una nuvola l'oggetto che supponeva Italia, sospirava d'affanno: – era la trepida esitanza di un'anima grande tra il tempo del disegno, e quello della esecuzione; – esitanza, che nè io, nè i miei lettori, abbiamo provato giammai, imperciocchè le anime nostre vennero al mondo piegate in sessantaquattresimo50.
      Carlo agitavasi inquieto, nè i Baroni che aveva prescelto a compagni valevano molto ad acquietarlo. Essi avevano combattuto al suo fianco in Palestina ed in Provenza; andavano famosi per mille prove, ma rigidi come il ferro che li vestiva; – faccie ignote al sorriso, nessun'altra cosa fuorchè la spada e la mazza di arme conoscevano, e nella spada consisteva a quei tempi la educazione del nobile: forse avrebbero potuto narrare le imprese trascorse, e col racconto dei superati pericoli inanimirsi a ben sostenere il sovrastante; ma quando l'anima anela su l'elsa della spada, di rado si trova chi narri, e più di rado chi ascolti storie del vecchio tempo. I nostri Baroni al più leggiero scompiglio balzavano coll'arme alla mano, stimando essere assaliti; nè per quanto si fossero trovati delusi rimettevano in nulla del loro sospetto.
      Il Maestro della nave, Provenzale dal viso rubicondo e dai capelli ricciuti, era un piacevolone, finissimo intendente del vino, gran partigiano di quello di Sciampagna; del rimanente istruito a cantare sul liuto otto o dieci canzoni da taverna, e pratico di quanti giuramenti correvano in quei tempi per le bocche dei Fedeli: ma poichè laddove compariva quel viso severo di Carlo la gaia canzone cadeva in isvenimento, e la bestemmia peggio che mai, essendo il Conte religioso, o simulando esserlo, tutta la scienza del Maestro si riduceva a niente, ed egli stava colà come uomo morto: rimanevagli il favellare sul vino, ma come avere il coraggio di tenerne discorso con un Principe che beveva acqua?


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La battaglia di Benevento
Storia del secolo XIII
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1852 pagine 699

   





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