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      Ora con voce di pianto io chiamava a nome tutti i vassalli perchè calassero il ponte, – non rispondevano; – adoperai le promesse, le minacce, gli scongiuri pe' Santi, pe' loro morti, pe' loro vivi, per quelli che dovevano nascere, – non rispondevano; – scesi, e mi detti ad aggirarmi intorno il castello, corsi, ricorsi, – il muro era alto, il fosso profondo; – rifinito dalla stanchezza e dal cordoglio, cado svenuto per terra: quanto io stessi privo di sensi, non so; questo solo conosco, che sarebbe pure stata grande pietà non farmi ritornare in me stesso! Avanti che lo sguardo fosse tornato allo usato ufficio, un gran splendore mi percosse la facoltà visiva, – un ronzio confuso d'urli, di pianto, di femminili querele, e di latrati, mi rintrona gli orecchi: – apro gli occhi.... o Cristo! il castello di Berardo va in fiamme. Senza che l'anima fosse consapevole dei miei moti, io mi trovo in mezzo al fosso menando mani e piedi per giungere all'altra riva: – la prendo, tento un luogo per arrampicarmi; – mi aggrappo, – sono giunto a mezzo del muro, – non trovo più oltre dove mettere il piede, – rovino, lasciando su i sassi la pelle delle mani e del viso. – Chi potrà dire quante volte mi arrampicassi, quante cadessi; chi le mie percosse e le mie ferite; chi il supplizio dell'anima mia? Orribilmente ansante, tutto sanguinoso, afferro alla fine un merlo: – quale io mi fossi all'aspetto non dirò: basti solo, che nessuno mi riconobbe, e credendomi il demonio suscitatore di cotesto incendio, fuggivano urlando disperatamente misericordia!


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La battaglia di Benevento
Storia del secolo XIII
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1852 pagine 699

   





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