Arrivammo a Pisa con prospera navigazione: quivi, desideroso di farmi valente nell'arte di percorrere i mari, tolsi commiato da loro, e mi acconciai su le galere che navigano a Tiro, a Tolemaide e in altre terre di Levante. Di ritorno a Pisa, co' danari procuratimi mandai segreti messi ad alcuni dei miei vassalli, affinchè mi chiarissero di ciò ch'era avvenuto dopo la mia partenza. Intanto strinsi amicizia con un certo Guasparrino marsigliese, ricco mercante, che conosciutomi delle cose di mare espertissimo, mi propose di governare la sua galera. Tornati i messi, seppi del mio castello essere stato dal Re Manfredi investito Drogone, il quale per opera del Conte della Cerra tanto si era avanzato in sua grazia, che lo aveva nominato Ammiraglio del Regno; allora accettai la proposta del Marsigliese, e da quel momento in poi una immagine di speranza ha lusingato il mio cuore che un giorno o l'altro potrei incontrarlo sul mare: – oh! allora.... volgono cinque anni che vesto il cilicio, e mi circondo di terribili angoscie per sorridere alla morte, come a mio liberatore. Se alla mia vendetta si unisse la utilità della terra che mi ha veduto nascere, forse il mio nome ne avrebbe gloria nelle generazioni future; fatalmente sono disgiunti, e mi frutterà infamia: – che cosa importa? forse verrà tale che dispregiando la lode e il biasimo che danno gli uomini, – e loro; – tale che scrutinando impassibile le azioni chiamate delitti, e quelle chiamate virtù, vedrà che il caso, non già il mio volere, condanna il mio nome a comparire scellerato nelle pagine della storia, onde egli non sdegnerà di manifestarla alla gente, e suscitare una lagrima, come che tarda, sul mio feroce destino.
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