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      Carlo d'Angiò, degno di sentire altamente, aveva ascoltato quel racconto con tanta attenzione, che non s'era accorto il sole avere già da buon tempo lasciato il nostro emisfero, perchè Gorello non lo narrò così prestamente, come abbiamo fatto noi, ma con tante altre particolarità, che volentieri tralasciammo per provvedere alla pazienza del lettore: ora Carlo riunendo in un punto tutte le sue sensazioni levò gli occhi al cielo, e mandò un gemito affannoso.
      Il cielo si era coperto in gran parte di un nugolone nero, che cresceva da lato di Levante; il vento fatto impetuoso aveva sommosso il mare per modo, che Carlo voltosi al timoniere, parlò: "Parmi che avremo fortuna."
      Sì, Monsignore. La mia vita è immagine di questa giornata, luce il mattino, tenebra a vespro: questo giorno terminerà forse con la tempesta, – la mia vita non deve finire altramente; – chi sa, che la procella che chiuderà questo giorno non sia destinata a dare compimento alla mia vita!
      Nostra donna di Reims disperda l'augurio! Noi non possiamo restituirvi la pace, ma in fede di Cavaliere giuriamo, che, potendo, vi faremo giustizia.
      Gran mercè, Monsignore: intanto ritiratevi, chè un balzo della galera non vi lanci, come poco pratico, in mare; state pur tranquillo, chè se sarà tempo da potersi superare da forze umane, noi lo supereremo.
      Lo crediamo certamente; e più della fedeltà dei nostri ci dà pegno di questo la vostra vendetta, Gorello.
      Dopo queste parole Carlo, tolta la mano del timoniere, e affettuosamente stringendogliela. soggiunse: "Prendete conforto, Cavaliere; nuovo tempo, e nuovo amico, possono sanare le piaghe del tempo e dell'amico passati.


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La battaglia di Benevento
Storia del secolo XIII
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1852 pagine 699

   





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