Il timoniere, esercendo le veci del Maestro ebbro di paura e di vino, visto quello universale sconforto gridava da poppa: "Fate forza di remi; chiudete la vela, se volete salvarvi; operate adesso che il tempo stringe da vero, altramente qui presso è la terra, e ne andremo tutti perduti."
Di questo discorso furono prese le sole parole convenienti alla presente situazione: "qui presso è la terra, – siamo tutti perduti;" e sortì l'effetto contrario che si era proposto chi lo avea pronunziato.
Siamo perduti!
susurrò scambievolmente il vicino al vicino, ed abbassarono insieme la faccia livida per lo spavento.
Il Maestro della nave, nel volto del quale la paura non si era manifestata, come negli altri, per via di pallidezza, ma con tale un colore che teneva tra violetto ed il nero, si vedeva intento, con le mani su due vasi di terra per impedire che, cozzandosi in quei fieri scotimenti, si rompessero, e quanto aveva in canna gridava: "Libeccio, libeccio! sono si fatti i modi che suoli tenere co' tuoi buoni amici? Or corrono ben quaranta anni che frequento casa tua, nè mai quanto questa volta mi ti sei mostrato cruccioso: ti ho forse usato villania? ho tralasciato un giorno di bere alla tua salute? E mi dovevi fare questa vergogna appunto adesso che ho promesso a Monsignor Conte di trasportarlo sano e salvo fino ad Ostia? Senti che scossa! Domine, in adjutorium... che vento indiavolato! – Ne vuoi la fine; e quando avrai fatto percuotere questi due vasi tra loro, i quali da poi che si conoscono sono vissuti da buoni fratelli, e spezzare, e sperdere il mio buon vino, che cosa pensi aver fatto?
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Maestro Maestro Monsignor Conte Ostia
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