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      Giunto là dove la ciurma di nuovo impaurita giacevasi in fondo della viltà: – "Uomini," disse "se in voi fosse arbitrio di fuggire, vi conforterei a restare; la paura di morire griderà più forte della mia voce, ognuno faccia quello che può per salvarsi la vita."
      Questo strano discorso non dirò che infondesse un súbito coraggio in quei vili, ma profferito da uomo riputato come era Carlo valse a dare loro una leggiera speranza di salute, se avessero seguito a fare quello che il Conte faceva; ed in vero, se bene non con molto calore, si dettero ad imitarlo.
      Come poi Carlo si mostrasse così caldo in questa ventura, mentre innanzi fu d'uopo che il timoniere andasse a suscitarlo, non fa maraviglia se si consideri, ora trattarsi d'armi, in che consisteva il suo mestiere, dianzi di flutti infuriati ai quali non era avvezzo, e poi lo spasimo di stomaco che aveva prostrato ogni sua facoltà intellettuale: perchè quantunque tutti si uniscano a dire l'anima molto maggiore ente del corpo, e più nobile, nondimeno è subordinata alla influenza di tutti gli umori di quello, – anche agli escrementi58; onde vedasi un po' quanto presuntuosa fosse l'eresia di Priscillano, che sosteneva l'anime umane emanazioni della Divinità.
      Ai graffi! ai graffi!
      si udiva tuonare la voce di Carlo, (ed erano i graffi certi istrumenti uncinati coi quali tentavasi di accostare la galera nemica per venire a battaglia manesca) e súbito furono portati e messi in opera: questi però non bastarono a tanto bisogno, perchè le galere ora sospinte si urtavano con molto pericolo, ora divise furiosamente gli strappavano di mano a chi li teneva, e seco loro li trasportavano; vi furono anche di tali che ostinandosi a non lasciarli rimasero levati via di coperta, e sospesi ai manichi, per modo che quando le galere tornarono a cozzarsi o miseramente s'infransero, o non valendo loro le forze di starvi luogo tempo attaccati, lasciarono cadersi nel mare e quivi perirono.


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La battaglia di Benevento
Storia del secolo XIII
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1852 pagine 699

   





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