Carlo stringendo la mazza d'arme, con un piè levato sul parapetto della galera, aspettava ansiosamente il punto che all'avversaria si accostasse, e allora menava colpi, che di rado cadevano in fallo. Seguitavano l'esempio i compagni, espertissimi anch'essi nel maneggiare l'accétta, ed in breve ora cagionarono ai nemici non lieve danno di morti e di feriti. Questi però non si stavano, colpo con colpo cambiavano, e la battaglia sostenevano assai francamente. Tu avresti veduto le sarte della galera grondanti di sangue, la coperta sparsa di cervella infrante, e di membra recise; parte percossi cadevano bocconi spenzolati dalla nave, e a poco a poco sdrucciolando traboccavano nell'acqua; parte cadendo supini, le gambe di chi si avanzava impacciavano e facevano ch'essi pure nel mare precipitassero; alcuni sconciamente feriti fuggivano dal conflitto mettendo dolorosi lamenti, e chi gl'incontrava, non che rimanesse sbigottito da quello stato, cercava invece, puntando mani e piedi, di farsi largo, ed essere dei primi ad uccidere, o ad essere ucciso.
Intanto nella pienezza dell'orrore infuriava sopra le loro teste la procella: – ma la rabbia degli elementi scatenati comparisce solenne, degna affatto dell'attenzione di chi osserva; – sembrano giganti che non si possano distruggere, i quali sieno venuti nei campi del cielo meno per isfidarsi a morte, che per far prova del proprio vigore; ora prevale questo, ora quello, finchè stanchi della lotta si partono senza vittoria per ritornare quando che loro ne prenda vaghezza a nuovo esperimento: – non così della rabbia degli uomini; ogni atto di loro è via di distruzione; piccoli e feroci offrono la immagine di un brulichio di formiche impazzite, intente a divorarsi intorno ad una zolla di terra; la morte, che vi tiene levato un piè sopra, si rimane maravigliando a considerare quanto ferva in questi corpicciuoli il furore di estinguersi senza l'opera sua.
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