... Mi accostai al banco di cotesto abiettissimo; egli alzò la faccia, e strinse gli occhi per meglio vedermi, che la lettura glieli aveva indeboliti. – Chi siete? che cosa volete? – mi disse con voce strillante: – spacciatevi, che ho da finire molte faccende questa mattina. – Magnifico Senatore, – risposi appressandomi sempre più al banco, – la mia è piccola cosa, e da sbrigarsi in un solo momento. – Non venite più oltre, ch'egli è difeso farsi tanto vicino al Senatore. – Io non gli badava, e continuando il passo, e il discorso: – Voi mi dovete un debito. – Qual debito? voi siete folle. Allontanate quel pazzo, spingetelo fuori, cacciatelo prigione! – Folle tu, che credesti essere salvo quando vendesti l'innocente; tu mi devi la vita di mio padre. – In questa, io me gli era avventato addosso, e lo aveva stretto alla gola con tale furore, che gli occhi gli scoppiavano dalla fronte, le sue labbra balbuzienti mormoravano: – Salvum fac spiritum meum; – ed io gli susurrava all'orecchio: – Dannazione! dannazione! – Poi trassi il coltello, e seguendo la impronta violetta delle mie dita gli segai il capo, e lo afferrai pe' radi capelli che avea su la fronte con la gioia dell'amante che stringe la mano della fanciulla desiata. Intanto era accorsa assai gente; senza sconfortarmi mi vôlto, stendo il braccio mostrando il pugno e il coltello insanguinati, e grido loro: – Cristiani, fo voto a Dio, che a quale si oppone al mio cammino, io do di questo coltello per mezzo del cuore. – Pare che il sembiante corrispondesse al detto, perchè si ritirarono chi qua, chi là, mormorando come, il mare quando il vento cessa.
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