– Vorrestemi usare cortesia, bel Cavaliere?"
Parlate.
Dimani vedrete nel campo di Carlo affidarne certa quantità ad un Corriere affinchè me li porti; egli è un dono che vuol farmi la Virtuosa Contessa Beatrice, e ch'io non mi trovo in caso di rifiutare: ora vi pregherei ad aver cura di riscontrare che formino bene ottomila; se crescono, lasciate stare; se non arrivano alla somma, avvertite la Contessa del difetto. Mi promettete di farlo?
Ve lo prometto.
Gran mercè, Cavaliere.
– Ecco un'anima da appaiarsi con Gano di Maganza, – pensò Rogiero tra sè, – ed io? – il sonno non iscese per quella notte su le sue stanche palpebre.
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Che Dio vi conceda il buon giorno, bel cugino,
disse la Contessa Beatrice, che, nell'uscire da una camera ov'era stata a riposare, s'incontrò nel Conte Guido di Monforte. Ella veniva frettolosa, e le vesti aveva scomposte più che a nobile dama non convenisse; le sue donzelle le si traevano dietro correndo, e andavano aggiustandole alla sfuggita chi il velo, chi la cintura, o che altro.
Dama, che possiate esser lieta di tutto quello che desiderate; qual cosa vi affanna, onde tanto smaniosa vi levate di letto?
Cugino, arrivò il Corriere?
Dama, non si è ancora veduto.
Ci avesse tradito il Duera? Trovasse piccolo il premio? Cugino, spedite gente per conoscere ciò che n'è stato; fate offrire doppio premio a quel tristo, purchè passiamo. Il Pelavicino non può tardare di caricarci alle spalle; se questo avvenisse, noi saremmo perduti.
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