Il Corriere pose ginocchio a terra dicendo che la risposta l'aveva il compagno: la Contessa lo rilevò graziosamente, e con la solita promessa, che si sarebbe rammentata di lui, gli dette licenza. Allora Rogiero fatto un lieve saluto alla Dama, le presentò le lettere, la quale, come colei che non sapeva di leggere, le porse con bel contegno al Monforte, dicendogli con voce sommessa: "Spacciatevi, Conte, che molto mi preme sapere che cosa elle rechino."
Il Monforte si pose a leggere, ma non era anche arrivato alla metà, che due o tre volte lo aveva interrotto la Contessa domandandolo: "O che dice?... o che porta?"
Ma, Dama,
parlò impazientito il Monforte, "se voi non mi lasciate leggere, non ve lo dirò di qui a mille anni." Ed egli poi non era gran maestro in letteratura, e sapeva leggere a mala pena pe' suoi bisogni, onde sovente mormorava tra' denti: "Anche nello scritto si palesa tristo costui: fosse qui il cappellano che tanto vale a leggere di questi scorbii...." Alla fine, come Dio volle, la lesse, e senza aspettare di esserne ricercato disse pianamente alla Contessa: "Il traditore accetta il trattato, sebbene, scrive, per essersi preso cura di mandarvi un Cavaliere napolitano che vi recherà cosa più grata del passo dell'Oglio, voi potreste aumentargli la somma. Vi raccomanda poi, che arrivata a Roma, vogliate per vostra intercessione pacificarlo con la Chiesa, e renderlo partecipe delle sante indulgenze promesse a chiunque prenda la croce contro Manfredi."
Intorno la prima richiesta rispondete, Conte, che volentieri vorremmo potergli in migliore modo manifestare l'animo nostro, ma che le presenti strettezze non cel permettono; aggiungete, grande estimare noi lo ufficio che ci rende, e la Casa di Francia porre ogni sua gloria in dimostrarsi grata: per la seconda assicuratelo, che sarà nostro pensiero adoperarci presso Papa Clemente, affinchè lo ribenedica, e lo abbia in luogo di figlio; stia pur quieto di questo, che noi ne avremo cura come di un nostro fratello.
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