In questa maniera procederono fino a Baccano: quivi incontrarono duecento armeggiatori coperti di zendadi azzurri, trapunti a gigli d'oro, montati sopra cavalli di un solo colore. Con la faccia rivolta all'esercito veniente stettero immobili, finchè non fu avvicinato a tiro di balestra: allora spronarono precipitosi con l'aste basse, come se volessero assaltarlo: ma ad un tratto si fermarono e súbito dopo si divisero, figurando una battaglia d'infiniti duelli: ricambiati alquanti colpi, alzarono le lance, ed offersero un lungo viale di armi intrecciate; poi tornarono a mescolarsi, e quale usciva, qual rientrava; alcuni correvano dal lato manco, altri dal destro, e si avviluppavano e si aggomitolavano, ch'egli era un brulichío, una confusione maravigliosa a vedersi: ad un segno dato, in meno che non si dice, comparivano ordinati in ischiere quadrate, piene e vuote, in fila disposte lungo la via, o in drappelletti traversi: quindi nuove giostre, nuovi greppi, e sempre vaghi, e sempre varii a vedersi, che forse di tali non se ne sono ancora eseguiti nei nostri balli moderni tanto vantati.
Gradito quanto meno aspettato riuscì a Carlo cotesto spettacolo, che non si rimase se non circa sette miglia distante da Roma. In quel punto correndo a tutta briglia scomparvero. Quando ebbe percorso un ben lungo sentiero il Conte li rivide immobili, come la prima volta, traverso il cammino, tenendo sollevate le lancie e i pennoncelli confusi; nè adesso, per avvicinarsi ch'ei faceva, sembrava che volessero muoversi.
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