Rotto lo incanto, suscitata la virtù italiana, si videro da tutte le parti farsi oltre Cavalieri a toccare, qual col ferro, quale senza ferro, gli scudi dei tenitori, così che al tramontare del sole il libro del Contestabile si trovò pieno di nomi, e di descrizioni d'insegne. Il Monforte accigliato non diceva parola; Lebrun chiudendo il libro si volse verso di lui, o disse: "Sapete, Conte, quello che dice il proverbio?"
Che ho io a farmi dei vostri proverbii?
Vi acquistereste sapienza: offendi, e spegni.
Ho fatto il primo oggi, domani farò il secondo.
Se dirlo fosse farlo, non dubito che sarebbe; ma quei Cavalieri non avevano sembiante di cedere così leggeri; vedrete che a mangiarli saranno più di due bocconi.
Questo è perchè i sessanta anni vedono diversamente dai quaranta; e voi oggimai, signor Contestabile, siete più proprio a dire proverbii, che a menare colpi di spada.
Giles Lebrun, Cavaliere senza macchia, e senza paura, sentendo quella acerba risposta, alzò la persona, come nei giorni della sua gioventù, scosse in atto di rabbia i capelli, bianchi di onorata canizie, e pensò di percuotere sul volto il villano: Monforte però nulla curando se fosse stato gradito, o no, quel suo detto, si era di già allontanato. La prudenza consigliò Lebrun a non muovere scandalo nelle presenti occasioni, ma la vendetta gli impresse la ingiuria nel cuore.
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Correva il giorno sesto di gennaio anno domini 1266, allorchè una splendida comitiva di Prelati, Magistrati, e Cavalieri italiani e francesi, si fecero a suono di trombe alla dimora del Conte di Provenza per guidarlo al Laterano, dove lo aspettava il Pontefice.
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