Cavaliere, scendete, e cambiamo qualche colpo di spada, già che il cavallo non può più servirmi, almeno per oggi,
– disse il Vandamme.
Signore,
rispose il Cavaliere primo venuto "volentieri farei quello che mi richiedete, ma il bisogno mi chiama altrove; io vedo il mio compagno assalito da due Cavalieri, nè posso lasciarlo solo: contro il Monforte, e non contro voi, noi portammo la sfida ad oltranza."
Cavaliere, io non saprei dirmi vinto oggi, senza un patto.
Ditelo.
Che voi veniste a combattere meco domani: lo promettete?
Lo prometto, salvo che impedimento non si opponga.
Dopo queste parole il Cavaliere primo venuto si muove in soccorso del suo compagno, che, sopraggiunto dal Monforte di un colpo di lancia su la spalla destra, era stato costretto a lasciare il Vandamme, il quale fu miseramente calpestato dal suo cavallo, e piegare dal lato sinistro per modo, che, se non avesse puntato l'asta per terra, sarebbe per certo caduto; ma così presto si addirizzò, che lo Stendardo, avendo preso la mira bassa per ferirlo, piantò l'asta in terra. Il Cavaliere primo venuto, giungendo a gran corso, urta le spalle dello Stendardo così fieramente, che questi battendo col viso su le barde del suo destriere si sconcia il naso, e due o tre maglie della visiera gli si incarnano nelle guance; quindi continuando percuote il Monforte, e rompe nel suo usbergo la lancia; levata tosto la spada, si dà a tempestarlo, e s'ingegna a tenerlo corto, perchè non adoperi l'asta. Nel punto stesso apparisce uno stupendo caso; il destriero del Cavaliere primo venuto, di tutto nero che era, si tramuta all'improvviso, pezzato con grandi macchie di bianco.
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