Lucrezio, 2.
Siete voi, Messer Ghino! Già il cuore me lo aveva rivelato;
– esclamava il Cavaliere primo venuto abbassando la visiera a sua posta, onde Ghino aperte le braccia gli correva incontro gridando: "Voi qui, Principe Rogiero!" E si abbracciavano scambievolmente, e amorosamente si baciavano in bocca.
Come mai, Cavaliere,
riprendeva Ghino "di amico ch'eravate di Francia, le siete diventato, e così tosto, nemico?"
E' dovete sapere, messer Ghino, che allorquando io portai le lettere di Napoli alla Contessa Beatrice su le rive dell'Oglio, Monforte tutto cruccioso si volse al cielo esclamando: – Sire Dio, noi avremo Italia senza colpo ferire.... adesso ha imparato che mal per lui se gl'Italiani ferissero!...
Vedi petulanza! e non aveva anche vinto: pensate un po' quale orgoglio avranno costoro quando domineranno su Napoli.... Oh! se i patriotti nostri!... Ma or via, venite, Cavaliere, che dovete essere stanco e ferito, ed io non ho mai temuto quanto oggi di trafelare nell'arme; – con l'aiuto di Domineddio abbiamo fatto assai prove per oggi.
Così s'incamminarono verso una casetta riposta in luogo assai remoto nella foresta, dove Ghino accolse ospite per la seconda volta Rogiero.
Ora poichè pel riposo, e per le cure di alquanti giorni ebbe Rogiero rimarginate alla meglio le ricevute ferite, avvenne che certa volta, essendo lontano Ghino pe' bisogni della masnada, si mettesse soletto per la foresta; teneva le braccia incrociate sul petto, il capo chino a terra, – camminava or lento, ora ratto, spensieratamente.
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