Questo dialogo, come la più parte dei miei lettori avrà immaginato, fu tenuto da Rogiero, che, dipartito dal convento, si era ridotto alla casa di Ghino, con Beltramo, il caritatevole custode del moribondo Drengotto. Terminate ch'ebbe Rogiero le riferite parole, cadde in pensiero, e declinò la faccia tra le mani; onde Beltramo, conoscendo che predicava al deserto, stimò nessun'altra cosa rimanergli di meglio che eseguire il comando. Già non poteva il masnadiero di lungo spazio avere trascorso la porta, allorchè Rogiero, crollata la testa, si dette a camminare per la stanza furiosamente.
Mi prostrerò al suo trono,
diceva "mi prostrerò.... io che non mi sarei curvato innanzi cosa immortale, cadrò adesso ai suoi piedi? Sì, cadrò, perchè la mia alterezza si dipartiva dalla innocenza.... oh! come avvilisce la colpa!"
Bel Cavaliere, ecco l'armatura;
entrando nella stanza favellava Beltramo.
Rogiero non gli poneva mente, e continuava così: "Ho voluto io la colpa? Io mi sarei sottratto a quella con la morte; pure ne porto la pena. Questa è una via dolorosa; la sventura mi flagella, affinchè senza requie pervenga al fine, e al fine mi attende l'infamia...."
L'armatura, Cavaliere....
Ora temo il riposo della terra, perchè mi cadrebbe addosso, come il peso all'ostinato che volle caricarsi le spalle più che le sue forze gli concedevano.... e non sarebbe già volontario.... nè avrei per iscusarmi.... e per accusarlo le ragioni di prima.... – Non le avrei? Non sono circondato di lacci? Non mi hanno strascinato alla dannazione come omicida al supplizio?
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