Rogiero, travagliato dalla febbre dei tristi pensieri, di più in più si allontanava per la pianura; ma poichè tutti i nostri affanni trovano fine, rallentandosi, se tali che la nostra pazienza possa soffrirli, o distruggendo l'anima qualora le sieno superiori; quelli di Rogiero non essendo di forza da distruggerla, così la cortesia, ch'era in lui veementissima passione, appena trovò luogo di farsi sentire, gli rimproverò le strane maniere tenute con messer Ghino, il solo tra la famiglia degli uomini ch'egli avesse riputato degno di riverenza e di onore; voltò la testa all'indietro quasi per fare sue scuse alla parte del cielo che copriva quel valoroso; imperciocchè credeva lo avesse ormai trasportato il cavallo oltre la vista della sua dimora, ma s'ingannò; che il destriero non istimolato dal suo signore s'era fatto innanzi a piccolo passo, ed egli ebbe agio di vedere il buon messer Ghino, il quale nella medesima situazione in che lo aveva lasciato stava a riguardarlo: trasse dal lato destro la briglia, dette di sprone a manca, ed in meno che non si dice Ave Maria giunse presso Ghino, smontò da cavallo, e gli cadde smanioso tra le braccia; la testa, come se non potesse sopportare il peso della commozione, abbandonò sopra le spalle dell'amico; in faccia divenne tutto bianco, nessuna lacrima gli sfuggì dagli occhi, la gola chiusa non avrebbe concesso che le parole suonassero, nè egli si provò a favellare. Ghino lo sorreggeva, niuna cosa si aggiunse alla sua prima espressione, se non che una grossa lacrima formatasi lentamente gli gocciò giù per la guancia, posandosi alla fine sui capelli di Rogiero; dopo la prima ne sgorgarono delle altre assai, e a mano a mano più spesse; il volto però, come abbiamo detto, non prese nuova attitudine, ogni muscolo rimase al suo luogo; – pareva che gli occhi non avessero nulla che fare con quelle lacrime; – che spontanee si dipartissero dal cuore.
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