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      Rogiero, avendo raccolto per via, che la Corte e i principali Baroni dovevano quanto prima ridursi a Benevento, dove Manfredi aveva ordinato universale assemblea, divisò volgere quivi il viaggio, che stabiliva di fare a Napoli; e dopo un faticoso cammino per luoghi dirotti, reso più grave dalle piaghe inasprite, giunse l'ottavo giorno della sua partenza da messer Ghino in vista di Santa Agata dei Goti. Sia che temesse potersi celare, sia che desiderasse sfuggire l'aspetto dei viventi, Rogiero si consigliò di non entrare in quella città, ma posarsi alla campagna nella prima osteria che gli fosse occorsa, nè andò guari che il suo sguardo si fissò sopra una insegna dipinta sul muro. Il pittore, per quello che si poteva interpretare, aveva pensato raffigurarvi una luna nel suo primo quarto, allorchè somiglia, come ha detto Orazio in qualche parte delle sue Odi, – e la Musa sa con quanta gentilezza di concetto, – alle corna della vitella; certi globi neri condotti sotto la luna dovevano per certo fingere nuvoli, – almeno così credo; – sopra questa opera maravigliosa dell'arte stavano scritti con la brace i versi seguenti:
      Or che la notte è taciturna e bruna,
      V'invito nell'albergo della Luna."
      Veramente, – disse a sè stesso il cervello di Rogiero, senza che la sua volontà vi partecipasse per niente, – poteva esser meno tristo; pure poichè tutto bene non si può avere, il meglio è che si trovi fuori di mano. – Mentre così fantasticava, da un fabbricato contiguo alla casa acconcio a modo di scuderia sbucò fuori un fanciullo di strana sembianza: pallido in volto, con gli occhi loschi, le labbra rovesciate, i capelli stesi; la testa strettissima sul davanti, si allargava dietro, presentando la forma di una borsa per riporre danaro; la sua veste, screziata d'infiniti colori, aveva sopramesse le toppe con tanta leggiadria, da sembrare, più che altro, un arazzo.


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La battaglia di Benevento
Storia del secolo XIII
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1852 pagine 699

   





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