Nol dico per vantazione, chè superbia è troppo brutto peccato,
favellava l'oste "ma andate all'Aquila d'oro se volete gustare di questi camangiaretti; andate all'Orso bianco: Santo Menna glorioso! lì sì che si può dire che danno il pane con la balestra. E il vino? oh! pel vino vi giuro che può averlo uguale il Re Manfredi. Filippello di Faggiano, mio parente, che ha servito in corte tanti anni, mi assicurava un giorno che pareano fratelli; nè a casa mia si fa pagare, come altrove, quattro tarì la misura, perchè poveri ormai dobbiamo rimanere, ma col santo timore di Dio: io per me lo compro a tre tarì e mezzo, e lo vendo tre e tre quarti; guadagnerò poco in questo mondo, pazienza! salverò l'anima in quell'altro; tanto, in questo siamo pellegrini, come dice Frate Giocondo, e di là dobbiamo dimorare degli anni più di millanta: mi hanno assicurato, bel Cavaliere, che la pena degli osti nell'Inferno sarà di stare sommersi nell'acqua che hanno mescolato nel vino; pensate quante pertiche sotto vi starà l'oste dell'Aquila d'oro! davvero che me ne duole per lui, che ha famiglia; quello poi dell'Orso bianco credo che quando anche gli fosse concessa licenza di tornarsene a galla consumerebbe l'eternità per la via."
L'oste, mentre così discorreva, aveva spiegato una meschina tovaglietta, e l'andava assettando sopra la tavola, la qual cosa vedendo il nostro pellegrino, vôlto a Rogiero favellava: "Bel Cavaliere, se Dio vi aiuti, qualora vogliate godere della nostra compagnia, io non vi sarò scortese come già voi lo foste con me; venite francamente, io mi restringerò da un lato, e spero farvi tanto luogo da potervi sedere.
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