... andiamo al buono, se vi piace, Conte Anselmo, andiamo ai patti."
Come vi piace:
rispondeva il Conte della Cerra, ed omettendo due o tre pagine continuando leggeva: "Già conosce il mondo se la Casa di Francia soglia taglieggiare i suoi vassalli, se ami, o no, conciliarsi il rispetto del popolo, l'amore dei Baroni, la benevolenza di tutti; sa il mondo s'ella proceda cupida dell'altrui, intemperante, inquieta e codarda...."
Questi sono elogi, Anselmo, non sono patti;
interrompeva di nuovo il vecchio.
Il Conte Anselmo bisbigliando prestamente la lettera pervenne quasi alla fine; allora, facendo distinta la voce, disse: "Ecco quello che promette. – La nostra gratitudine non dubitate che non sia per essere adeguata a tanto beneficio: vostre saranno lo principali cariche del Regno, vostre le magistrature, il diritto di approvare le leggi vostro; noi prenderemo dell'autorità quel tanto che ne vorrete concedere, e ci chiameremo contenti; sieno le Regalíe annullate, il diritto d'imporre le taglie tolto dalle prerogative della corona, quello di diminuirle conservato. Ma non volge tempo adesso di esporre tutte le salutari riforme, che per ricondurre la felicità nel vostro dolce paese abbiamo immaginato; elleno saranno quali un padre di famiglia amantissimo può concedere, quali figli amatissimi potranno sperare."
Ahimè! ahimè!
esclamò per la terza volta il vecchio "guardate, di grazia, s'ell'è spedita dalla Dateria Apostolica sub anulo piscatoris!"
Udite il fine:
con súbita stizza, che volse immediatamente in riso, rispondeva il Cerra: "Inutile, e per avventura ingiurioso, – ingiurioso – sarebbe assicurarvi il pacifico possesso dei vostri castelli, terre e privilegii; sì bene non pure sperate, ma abbiate per fermo, che intendiamo ampliarvi di dominii e di ogni specie di concessioni, con le quali un figlio di Francia può dimostrare la sua riconoscenza a fedelissimi.
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