Fede, e stagione, Anselmo mio, mutano col giorno; e a me non sembra prudente correre il risico della sua volontà. Badiamo dove mettiamo i piedi, perchè da noi si percorre una strada su la quale ritirarci non giova; provvedasi adesso che si può, poi non sarebbe più tempo, anzi il provvedere pericoloso, il lamentarci ridicolo.
Io per me non veggo la via di scansare la ventura: quello che soffriamo sotto l'uomo è certo; quello che ci apparecchia Carlo è anche incerto; secondo i calcoli della prudenza umana, parmi che il caso meriti di esser tentato.
Così voi mi avete, Anselmo, rotto ogni ragionamento, nè io starò a dimostrarvi, se il vostro pensiero meriti biasimo o lode. Questi medesimi dubbii riproporrò posdimani, perchè se molto odio l'uomo, molto più aborro la infamia.
Quella senza guadagno però.
– parlava sommesso il Conte Anselmo. Il Cavaliere non lo intendeva, e proseguiva così: "Intanto mi è forza gemere, non so se debba dirmi su la trista indole della fatalità d'Italia, o su quella dei suoi cittadini, che per liberarsi da un'antica servitù non sanno migliore modo immaginare che una servitù nuova, e rompere una catena col ferro, del quale se ne deve fabbricare un'altra. Quando, quando verrà il giorno, che potremo sollevare al Creatore le braccia libere di ogni segno oltraggioso di signoria straniera?"
Melanconie, Barone,
riprese il Conte della Cerra "melanconie; pensiamo a dominare; così ab eterno ci ha privilegiati Natura. Ma ora che ci penso, va bene che voi amiate la libertà, Barone; anzi dovreste aggiungere la uguaglianza di averi: non vi fecero vendere i vostri creditori, or fa dieci anni, il feudo di vostra famiglia?
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