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      La vergine di Svevia, rimasta come stordita fino a quell'atto, si scuote di súbito, e cacciando altissimo grido si slancia a ritenere la mano di Rogiero, e: "Scellerato!" gli disse "pensi che io sia per lasciarmi toccare da mani contaminate?"
      Rogiero levò la faccia, e guardò Yole, – poi il carceriere, – di nuovo Yole; – ella lasciava libera la mano dell'amante. – Rogiero comprese l'atto, si alzò in piedi, e calpestando il tristo che giaceva: "Vivi," gridava "vivi a più atroci misfatti, a morte più infame." – Senza porre tempo tra mezzo si ripose il pugnale nella cintura, prese le chiavi, e passando il suo nel braccio di Yole, aggiungeva: "Vieni, bella infelice, che l'innocente può solo trovare salute nella fuga."
      Partivano frettolosi. Il carceriere, sebbene fosse tutto rotto nella persona, si alzava, e avventandosi alla porta gli scongiurava per Dio che lo menassero, od altramente lo finissero, perchè rimanendo colà sarebbe morto di fame: non lo ascoltavano; anzi Rogiero percotendolo nel petto lo respinse indietro, e gli ultimi suoi gemiti si confusero nel cigolío che fecero i catenacci avvolgendosi dentro gli anelli. Di lui non racconta più oltre la istoria: molto tempo dopo, sotto il regno di Carlo II lo Zoppo, essendosi demolito quell'antico edificio per ordine del Legato della Santa Sede signora di Benevento, furono trovati entro un sotterraneo due scheletri, uno dei quali stringeva tuttavia co' denti parte della mano destra; certo segno, che la fame infuriando nelle sue viscere lo aveva stretto al miserabile bisogno di trovare alimento nelle proprie membra: – questo supponiamo che fosse lo scheletro del carceriere.


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La battaglia di Benevento
Storia del secolo XIII
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1852 pagine 699

   





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