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      Qui sta l'opera, qui la fatica; questo è lo scoglio pe' buoni ingegni, l'abisso pe' mediocri; e certamente sarebbe pel nostro, dove le raccontate avventure non fossero vere, o almeno non le avessimo trovate entro una Cronaca di pergamena antichissima, scritta con caratteri gotici, con le iniziali alluminate, e dorate, che quantunque un po' guasta dalle tignole, un po' dai sorci, un altro po' dall'umido, si mantiene pur sempre il bel tesoro, come andrà persuaso chiunque abbia voglia di venirla a vedere.
      Narra pertanto la Cronaca, come un certo giorno il Conte Anselmo della Cerra, ridotto nella secreta sua stanza, esaminando alcune carte di molta importanza udisse toccare la porta; per lo che domandato chi fosse, gli rispondevano, – un pellegrino, che per quello che ne sembrava aveva corso gran via, faceva istanza di favellargli. – "Un pellegrino! che passi:" – ordinava Della Cerra; ed ecco indi a poco entrare un uomo, che, richiuso in prima diligentemente l'usciale, s'incammina va alla volta del Conte, e gittando la schiavina da dosso, gli si mostrava qual era.
      Gisfredo, tu qui! tu vestito da pellegrino! chi ti avrebbe riconosciuto?
      Dove manca natura, arte procura, messer Conte.
      Che nuove? è anche morto quello stolto? la tua astuzia congiunta alla sua imbecillità lo ha ancora condotto in rovina? Narrami, narrami, che sono impaziente di udire; siedimi a canto, che ti starai più ad agio, ed io ascolterò meglio.
      Troppo onore, Messere,
      – rispondeva Gisfredo inchinandosi, e mostrando non tenere lo invito: pure insistendo il Conte, obbediva, e pressato da questo col più interrogativo "Ebbene?


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La battaglia di Benevento
Storia del secolo XIII
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1852 pagine 699

   





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