Partiva. Quello che facesse e quello che ne seguisse, ha già saputo il lettore: perchè non essendo venuto comodo a Gisfredo di uccidere senza pericolo Rogiero, lo trasportò privo di senso a Benevento, dove, trovato il Conte Anselmo, che vi aveva preceduto la Corte, lo cacciava per suo comando dentro la carcere del palazzo del Legato di Roma, da lungo tempo deserto, e per trascuranza, o dispregio, in parte diroccato. Era pensiero del Conte farvelo morire di fame, non già, come diceva Gisfredo, per brama che avesse della sua morte, ma per risparmiarsi la spesa di tenerlo vivo.
Finita questa commissione, tornava Gisfredo alla dimora del Conte Anselmo, e gli diceva: "Anche questa è fatta, Barone; tra poco il nostr'uomo diverrà Santo e farà miracoli; adesso sta in clausura; manca il sigillo allo spaccio, col gittare la chiave nel Calore85, e poi è finita."
Però pensiamo ad altro: trova alcun sacerdote che gli dica una messa, perchè la sua anima non si lamenti di noi, e conosca che abbiamo operato da buoni e leali Cristiani; pel rimanente raccomandiamolo a Dio.
Dice bene il Messere!
– riprese, tra serio e beffardo, Gisfredo, non sapendo con quale intenzione favellasse Anselmo: veduto ch'ebbe un leggiero sorriso su le labbra del Conte, aggiungeva anch'egli ridendo: "La dirò io questa messa; vado certo che qualcheduno nell'altro mondo, o sotto o sopra, l'ascolterà."
Non può fare a meno che tu non finisca male, tanto sei empio, Gisfredo! Adesso sono per commetterti una cura più delicata, e al tutto degna de' tuoi talenti; deponi quelle vesti da pellegrino, vesti l'assisa di casa mia, e vattene in Corte; poco sarai guardato; o, se guardato, come mio servo sarai anche rispettato: avvolgiti tra la gente di Manfredi, spia i Ministri, il Re, la Regina, tutti; nota gli andamenti, i detti, gli sguardi, e, se tu potessi, anche i pensieri; siimi fedele, pensa come il mio abbassamento non può accadere senza la tua rovina, la mia esaltazione senza tuo vantaggio.
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