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      Affidato ai destini che lo menavano, dominò la fortuna, costrinse gli eventi: non soddisfatto della corona di Napoli, guardò la Italia, la vide divisa, e disegnò riunirla sotto il suo impero: penetrando nei misteri dei secoli, la conobbe preda dello straniero, e volle prevenirlo; nè, dacchè Alarico venne a guastare il bel paese, alcuno più di lui sembrava eletto dai cieli alla impresa portentosa: in lui sapienza di consiglio, in lui prodezza di braccio, arte maravigliosa di conciliarsi gli affetti, e quella temperante mansuetudine sconosciuta ai suoi superbi maggiori; Roma decaduta alquanto dal potere; gl'Italiani fidenti, o poco gelosi di lui, perchè signore naturale, e scevro d'interessi con Alemagna; Toscana ghibellina, retta dal senno di Farinata; Lombardia in gran parte devota al suo nome pel séguito del Pelavicino, del Duera, e per le armi di Giordano Lancia. Egli pe' tempi, i tempi per lui: – forse è da credersi che l'avrebbe dominata con assoluto dominio; forse, inorgoglito dal successo, con tirannide; ma l'opera stava nel rannodarla: quando poi la oppressione si riunisce in un solo, anche un sol colpo vale a distruggerla; e se ogni tempo non produce il sapiente, ogni tempo conta molti feroci.
      Solo, dentro vastissima sala ornata delle immagini dei suoi padri, seduto sopra un letto all'usanza saracina, Manfredi cela la faccia per gli origlieri; se non fosse che d'ora in ora un anelito lo fa sobbalzare, parrebbe addormentato. Noi non sappiamo quale meditazione lo tenesse, certo però doveva essere di quelle che tribolano anche sul guanciale del riposo.


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La battaglia di Benevento
Storia del secolo XIII
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1852 pagine 699

   





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