Chè tra i sassi l'avvolge la tempesta. –
Una strage, uno affanno, una oppressura,
In voce di mistero ho raccontato,
E Dio mi ha maledetto, e la natura.
Il commiato della ballata fu con voce così spenta cantato, che nessuno degli astanti potè intenderlo. L'arpa sfuggì dalle mani di Manfredi, e percuotendo sul pavimento si ruppe: egli come sopraffatto dalla stanchezza lasciò cadersi sopra una sedia. Accorrevano i figli, la moglie, e con begli atti di amore lo circondavano; nessuno però osava consolarlo con le parole: forse un senso segreto gli avvertiva che i suoi mali erano superiori al conforto. Ne seguitava un silenzio solenne.
Un lieve colpo sopra le porte li toglieva dallo stato dolente. Manfredi, geloso degli arcani di famiglia, ordinò ai suoi con la destra, che si allontanassero; passò la manca sul volto quasi per rimuovere ogni traccia di patimento, e così ricomposto a reale alterezza disse con voce sicura: "Si avanzi."
CAPITOLO VENTESIMOTERZO.
LA SORPRESA.
... E fino a quando il giogoSoffrirem di un tiranno?.....
........ Sappiasi al fineChe voi suo valor siete, e sua fortuna,
E che, sdegnati voi, Giovanni è un vinto.
Giovanni Di Giscala, tragedia.
Voi qui, Alberico?
– aggiunse Manfredi, scorgendo il Maestro degli scudieri, che, affacciata la testa dall'usciale mezzo aperto, pareva che desiderasse un nuovo invito per entrare. – "Fatevi innanzi francamente, messere Alberico."
Messere il Re!
– rispose il Maestro inoltrandosi a mezza sala, dove inchinata la persona salutava in giro la reale famiglia.
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