Che cosa vi mena, Alberico? parlate:
– e queste parole gli disse in accento amorevole, perchè i tempi si facevano oscuri, e Manfredi adesso sentiva più che mai il bisogno di rendersi fedeli i suoi ufficiali.
Messere il Re, si è presentato un cavaliere al palazzo, e a grande istanza ha richiesto di parlare a Vostra Serenità: io gli ho detto, questa non essere ora conveniente; ma egli ha insistito, allegando trattarsi di caso gravissimo, nel quale andava della morte e della vita.
Il suo nome?
Non lo ha voluto manifestare, e la sembianza neppure, perchè va armato di armatura straniera, e tiene calata la buffa dell'elmo; però non porta arme da offesa.
Chi vi ha chiesto se avesse armi da offesa? Dove si trova?
Io l'ho introdotto nel mio appartamento, perchè fosse veduto da meno.
Elena, Yole, Manfredino, addio; voi vedete che sia la gloria del trono, – domanda perfino quei pochi momenti felici, che ogni uomo trova a sazietà nel seno della sua famiglia; ormai è un peso che il destino ha imposto sopra le nostre spalle, e che noi dobbiamo portare fino alla morte: statemi lieti; tra poco speriamo di tornare nelle vostre braccia. Andiamo, messere Alberico.
Forse così favellando Manfredi mentiva i suoi interni sentimenti; forse anche parlava sincero, imperciocchè stia nella nostra natura, che la cosa conseguíta, nuda del desiderio e della speranza, divenga minore dell'aspettazione, e il dolore dello acquisto non abbia compenso nelle gioie dell'acquistato.
Giunto alla soglia dell'appartamento del Maestro, gli comandava che rimanesse, e invigilasse ad impedire l'entrata a qualunque vivente.
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