Terminata cotesta faccenda, spediva il Cerra, affinchè provvedesse che frettolosi Corrieri gli recassero al destino loro. Rimaneva col Caserta.
Tu almeno non mi tradisci, o fedele;
favellava Manfredi ponendo la sua nella destra di lui "la nostra amicizia è bene antica: cominciava sotto gli auspicii di tale creatura, che adesso certamente la benedice dal Paradiso.... Oh! io sono indiscreto a rinnovarti un dolore; il tempo non ha sanato la tua ferita? Pur troppo il tempo non ha potenza sopra affanni sì fatti! Tu va, provvedi col Conte Giordano alla sicurezza di questa città, e della mia famiglia; per la perfidia di pochi ribelli io non devo lasciare la difesa dei miei fedeli, nè posso; mi si attribuirebbe a codardia: se deve tramontare la stella di Svevia, tramonti co' medesimi raggi con i quali comparve; – splende inclito il nome dei miei padri, nè noi lo contamineremo: facile è mostrarci grandi allorchè la fortuna esalta, difficile quando deprime. – Va, provvedi, tu hai senno da reggere il Regno; fa tutto quello che vuoi, pur che non vi sia sangue; poniamo i traditori in istato di non perdere i buoni; abbiano per pena l'onta di aver macchinato inutilmente un'opera di vergogna: molto mi prometto dalla vigilanza e dalla fedeltà tue."
Accolse queste carezze il Caserta; – come un lione ammansato partiva per fare l'ufficio.
Il Conte della Cerra, spediti i Corrieri, tornava al palazzo; – per via andava pensando: – giudica, testa mia, se il destro di scoprirsi è arrivato; – avesse Gisfredo preoccupato il passo?
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