La carta però non era firmata dal Conte, solo compariva scritta di suo carattere: Rogiero l'aveva trovata nel corridore, e il Cerra l'aveva perduta nella istantanea fuga.
Quandoaggiungeva Rogiero "non s'intenda pienamente provata la mia accusa, sì come buono e leale vassallo mi chiamo tenuto a mantenere la onoranza e vita vostre, mio Re, nè schivare pericolo per dedurre a vostra notizia tutto quello che si trama contro lo Stato vostro, se non voglio essere, giudicato del medesimo delitto di crimenlese colpevole: però mi offro di provare, cimentando la sua persona con la mia, quanto ho proposto esser vero. Supplico con ogni istanza vogliate pronunciare lo indizio sufficiente per venire a duello, ch'io spero nella giustizia di Dio convincerlo, ad onore, mantenimento, ed esaltazione dello Stato vostro."
Ed iorispose l'accusato "Anselmo Conte della Cerra, con licenza della Serenità Vostra dichiaro cotesto sconosciuto mentitore, e mantengo quella carta non appartenermi per nulla, esservisi falsificato il mio carattere...." Profferite appena l'estreme parole si accôrse Anselmo del fallo commesso; e procurò rimediarvi, aggiungendo precipitoso: "E però mi offro..."
Manfredi, che fino da principio del discorso gli aveva fitto addosso que' suoi occhi scintillanti di malignità, al punto fatale lo interruppe domandandolo: "Chi vi ha detto, messere il Conte, essere questa carta di carattere simile al vostro?"
Io....
rispondeva Anselmo esitante "io l'ho veduta."
Ah! l'avete veduta?
– disse Manfredi abbassando lo sguardo.
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